Oggi partiamo con una canzone che rappresenta in pieno il mio pensiero sui David di Danatello e di come in Italia non riusciamo mai ad uscire dal classico per farlo diventare un evento al pari degli Oscar:
I primi David di Donatello sono stati nel 1955 con l’intento di invogliare l’industria cinematografica a fare del suo meglio.
Il fatto che la statuetta rapresentasse il David di Donatello è dovuto al fatto che fosse una riproduzione in oro made by Bulgari. C’è anche dell’impegno dietro, eppure la sessantottesima edizione mi ha delusa ogni anno come quando non sai cosa metterti e nel dubbio ti vesti di nero. Non sbagli. Forse è proprio questo il punto.
La storia si costruisce con le contraddizioni:
Ogni volta che sui social qualcuno si lamenta per i commenti di noi poveri plebei sugli outfit delle star ad un evento X, dentro di me inizia a montare un mix tra la volontà di volergli dire : “il far parlare è proprio alla base di un evento, altrimenti che senso avrebbe farlo” ( inutile che spieghi io quanto la visibilità aimè sia parallela al successo di qualcosa) e il “fatti la tua vita, o risulterai scontrosa e alla fine chi ci rimetterà non sara Charlize Theron vestita in carta stagnola, ma tu da Mondovì”.
La storia si fa sconfinando quella linea che separa chi può farlo e chi no. Se non sei in grado di stare sull’Olimpo, tornatene sulla terra.
I David di Donatello non hanno nulla a che invidiare agli Oscar americani. Ovvio che a livello mediatico siano decisamente di minor impatto, ma le potenzialità per attrarre pubblico ed intensificare così il loro valore le avrebbero eccome. Ma siamo in Italia, e gli invitati si sono vestiti (per il 90%) di nero.
Avresti voglia di essere invitata ai David? Lo immaginavo.
Escludendo gli appassionati del settore non ho sentito nessuno o quasi, ricordare della serata dei David di Donatello, proprio ieri conversavo con delle mie amiche le quali mi rimproveravano della mancata uscita della newsletter questo lunedì. A nessuno è venuto in mente che potesse riguardare i David di Donatello. Quasi mi annoio io a parlarne.
L’Italia è un paese no digital friendly, non lo dico con cattiveria. Ma con la speranza che un giorno si accorga del suo potenziale. Per ora l’unico hype digital che vedo ben valorizzato e con le sue critiche lo vedo solo nel Festival del Cinema di Venezia, forse perchè coinvolge personalità internazionali che hanno contribuito a renderla una meta “per pochi eletti”. Sta di fatto che al Festival del Cinema di Venezia vogliono andarci tutti. Anche chi di cinema non ci capisce niente.
Ai David no.
Il funerale del cinema:
La sessantottesima edizione dei David di Donatello è stata una delle cose più classiche che potessimo chiedere, nessuno ha osato o ha voluto porsi al centro del dibattito. Tutti hanno recitato la parte degli attori dediti al ruolo e non desiderosi di ulteriore attenzione se non per il riconoscimento eventuale alla loro carriera.
Tutto perfetto. Tutto noioso.
Il miglior film lo ha vinto “Le Otto Montagne”, avevamo qualche dubbio? Io non credo. Ritirano il premio un Luca Marinelli vestito di NERO con un cappello da pescatore e un Alessandro Borghi in, indovinate è facile. Esatto, Gucci. Con il papillon storto.
L’unico con un fit da post funerale cool è stato Diodato, fate voi.
Vince anche Elodie come miglior canzone, sempre vestita di nero. Meno male, siamo contenti per lei.
Un caso italiano da attenzionare, copiato dall’America ma non ci interessa, che ha reso interessante un programma qualunque rendendolo un vero e proprio fenomeno di culto:
Per spiegarvi che non sono pazza, e che i successi si fanno anche in base ai colpi di scena belli e brutti che siano, vi porto questo programma. Iniziato come qualsiasi altro programma in commercio ma che è riuscito a distinguersi diventando parte integrante della società italiana, un vero e proprio fenomeno sociale che ha vissuto di rendita per tantissimo tempo ( ora un pò meno perchè è anche vero che se non cambi mai i colpi di scena dopo un pò stufano, ma comunque):
Masterchef
Nato nel 2011 su Cielo e poi approdato su Sky uno, ha saputo avvicinare anche chi di cucina se ne frega altamente, proprio per il suo tone of voice e i colpi di scena, oltre alle personalità che hanno contribuito alla unicità dei contenuti. Degli chef autorizzati a trattare i partecipanti come degli incapaci totali senza possibilità di battuta.
Manco fossero nell’esercito, manco fossero dei cuochi non professionisti. Ah no giusto quello si.
Masterchef è uscito dalle linee classiche di uno script visto e rivisto, per mettersi alla prova su una cosa che fino a quel momento non era neanche contemplata: creare un distacco tra chi “avrebbe fatto parte di un mondo, e chi non ci sarebbe riuscito”
Fateci caso: il principio della moda è il medesimo, più si sale di prezzo, meno i modelli ridono e risultano felici. Più un marchio è costoso, più crea un distacco inarrivabile tra il cliente e l’azienda. “Non tutti sono in grado di poterci comprare, se vuoi entrare anche tu nella nostra cerchia ristretta, devi soffrire”. Le foto ne sono l’esempio, più si scende invece verso marchi più accessibili, più i modelli sorridono e ti fanno sentire parte del marchio. “anche tu puoi essere come noi, saremo poveri insieme ma ben vestiti”.
Non lo dico io, lo dice il marketing pubblicitario.
Balenciaga ad esempio offre una foto dove il modello, quasi schifato dal farsi osservare da chi lo fotografa, ti guarda dall’alto in basso. “Tu vorresti essere qui. vorresti essere parte dell’elite. non so se ci riuscirai”. Tiene anche la borsa con il logo come se fosse qualcosa di scomodo, in un contesto di “normalità” dato dallo sfondo, il potere si concentra su quella borsa e il suo riscatto.
H&M invece ci vuole colorati, che ci abbracciamo, felice di poter accogliere un potenziale cliente sotto il suo tetto di acetato e poliestere. Anche l’inquadratura è diversa, all’altezza di chi la osserva e concentrata sui gesti umani più che allo sfondo. “non preoccuparti, ti accogliamo noi, te la offriamo noi la via d’uscita”.
Anche qui addirittura la foto è dall’alto. Tu cliente sei il nostro Dio, in grado di scegliere cosa può andare e cosa no, anche qui la concentrazione è sull’integrazione sociale, più che sull’elite dei pochi contro tutti.
ZARA invece copia anche l’inarrivabile. l’Inquadratura è appena sotto, i modelli non si toccano e lo sfondo è neutro. Zara offre anche nelle campagne la sensazione del marchio di lusso a portata di popolo. Giudica dandoti uno spiraglio, geniali.
brava Clara, tra l'altro Marinelli anche senza correttore. Spiace.